Responsabilità Professionale Medica
Per responsabilità professionale del medico o della struttura sanitaria ospedaliera” si intende l’obbligo di rispondere delle conseguenze derivanti dalla propria illecita condotta (commissiva od omissiva) posta in essere in violazione di una norma.
Chiunque abbia subito un trattamento sanitario può essere vittima di un cosiddetto errore medico ed avere quindi diritto ad un risarcimento.
Si ha responsabilità medica quando sussiste un nesso causale tra la lesione alla salute psicofisica del paziente e la condotta dell’operatore sanitario in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria.
In via generale gli elementi che concorrono a determinare una non corretta pratica sanitaria con i suoi possibili effetti; risulta quindi evidente nella responsabilità medica, forse più che per ogni altra professione intellettuale, l’incidenza della colpa e del nesso causale tra la condotta posta in essere e l’evento dannoso.
La colpa
Il concetto di responsabilità attiene dunque all’obbligo di rispondere delle conseguenze derivanti dall’illecita condotta, commissiva od omissiva che sia, certamente posta in essere in violazione di una norma.
A seconda dei diversi ambiti operativi della norma stessa può trattarsi di
- una responsabilità morale, in cui è facile ravvisare la sospensione di principi etici, non meno visibili ma relegati ad un interiore senso valutativo,
- una responsabilità amministrativo-disciplinare, quando sono violati obblighi relativi al servizio prestato, ai doveri d’ufficio o a regole deontologiche con la conseguente comminatoria di sanzioni dell’ente di appartenenza o dell’Ordine Professionale e infine
- una responsabilità giuridica per la violazione di una norma penale o civile.
Quando dalla propria condotta colposa deriva una lesione personale o la morte della persona assistita il medico (o il sanitario in genere) è chiamato a rispondere del suo comportamento professionale sulla base del concetto di colpa come definito dall’art. 43 del codice penale secondo cui deve ritenersi colposo (o contro l’intenzione) un evento che, anche se previsto, non è voluto dall’agente ma che si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La colpa è quindi generica se sussiste:
- la negligenza, ossia superficialità, trascuratezza, disattenzione. Esempi tipici possono riguardare il medico che prescrive un farmaco al posto di un altro o del chirurgo che non si accorge della mancata rimozione di corpi estranei in un campo operatorio;
- l’imprudenza, che può riferirsi alla condotta avventata o temeraria del medico che, pur consapevole dei rischi per il paziente, decide comunque di procedere con una determinata pratica;
- l’imperizia, che coincide con la scarsa preparazione professionale per incapacità proprie, insufficienti conoscenze tecniche o inesperienza specifica.
La colpa specifica invece consiste nella violazione di norme che il medico non poteva ignorare e che era tenuto ad osservare quali espressioni di legge o di un’autorità pubblica/gerarchica, disciplinanti specifiche attività o il corretto svolgimento delle procedure sanitarie.
Va precisato che l’errore del medico può essere compiuto nella fase diagnostica, in quella prognostica e nella fase terapeutica.
L’errore diagnostico si realizza nel non corretto inquadramento diagnostico della patologia, a cominciare ad esempio dalla imprecisa raccolta dei dati anamnestici, laddove invece doveva essere esattamente eseguita e valorizzata per il completamento del quadro clinico (il paziente è allergico a varie sostanze ma il medico dimentica di annotarle o specificarle, predisponendo superficialmente proprio una terapia sulla base di quei principi attivi).
Altro errore diagnostico può realizzarsi nella sottostima o addirittura nel mancato rilievo di una certa allarmante sintomatologia, anche se grazie agli esami strumentali e di laboratorio a fini diagnostici e ai percorsi codificati in veri e propri protocolli, l’ipotesi di una diagnosi errata assume oggi una maggiore gravità. Un aspetto decisamente affine e non meno grave è quello del ritardo diagnostico che procrastina a danno del paziente l’esecuzione di necessarie e indispensabili terapie.
L’errore prognostico deriva invece da un giudizio di previsione sul decorso e soprattutto sull’esito di un determinato quadro clinico che però si rivela sbagliato magari perchè correlato ad errore diagnostico, mentre l’errore in fase terapeutica attiene al momento della scelta del trattamento sanitario o a quello della sua esecuzione. Può verificarsi comunque l’ipotesi in cui, pur in presenza di una corretta diagnosi e di un percorso terapeutico congruamente definito, si sbagli l’esecuzione dell’intervento chirurgico per imperizia o negligenza.
Il nesso di causalità
È necessario, ai fini dell’accertamento dell’errore medico, che venga individuato un preciso legame, un nesso eziologico tra errore commesso e danno subito dal paziente, perché il secondo possa qualificarsi come diretta conseguenza del primo.
Difficile, se non addirittura arduo, è spesso per il medico-legale pronunciarsi in termini di certezza assoluta; opportuna risulterà in tali situazioni l’applicazione del criterio statistico-probabilistico (più probabile che non) a cui comunque si richiede che, soprattutto in materia di colpa omissiva, consenta di indicare il legame tra condotta ed evento con un grado di probabilità molto elevato, se non assai prossimo alla certezza.
Tuttavia, in caso si sospetti di essere incorsi in un “errore medico” è opportuno rivolgersi a degli specialisti in materia di risarcimento del danno alla persona.